La tremenda eruzione del 1669

Nella lunga storia delle eruzioni etnee il XVII secolo va ricordato come uno dei periodi di maggiore attività della nostra grande e sempre fumante montagna per una serie di eccezionali eruzioni ; tra le quali ricorderemo quella del 1614 – 24 e quella del 1634-38, che sono state notevoli per la loro inconsueta durata. Però nella mente delle popolazioni del versante meridionale del vulcano ne ritorna costantemente un’altra; quella avvenuta nell’anno del Signore 1669 .
In quell’anno infatti, dall’ 11 Marzo all’ 11 Luglio ( complessivamente per 122 giorni), un imponente ed inarrestabile fiume di fuoco travolse 16 centri abitati minori , innumerevoli casali e causò la parziale distruzione della città di Catania . In questa pagine cercheremo di ripercorrere brevemente la storia di questa importante eruzione ; ritornando nel passato ed immaginando di rivivere insieme quei tragici momenti . L’eruzione ebbe inizio a circa 800 metri di quota, nei pressi della cittadina di Nicolosi, da diverse bocche esplosive ed effusive localizzabili oggi tra Monte Fusala e la sopradetta cittadina, dove attualmente troviamo due grandi coni gemelli denominati " Monti Rossi " . Essa fu preceduta da formidabili terremoti, che terrorizzarono e misero in fuga la popolazione, ed infine rasero al suolo l’abitato di Nicolosi e danneggiarono seriamente le abitazioni di altri centri etnei; quali Pedara, Trecastagni e Mascalucia .
Il fiume di lava incandescente si riversò in direzione di Catania, circondando immantinentemente un antico cratere, detto di Mompilieri, che sorge ai piedi del già citato paese di Nicolosi.
Qui dapprima distrusse il villaggio omonimo e un importante Santuario mariano, dopodiché esso si divise in tre diramazioni che tosto puntarono verso altrettanti paesi etnei : San Pietro Clarenza, Camporotondo e San Giovanni Galermo . Sul finire del mese di marzo, il cratere centrale, che durante i primi giorni dell’eruzione era rimasto tranquillo, esplose con tremenda violenza eruttando un altissimo fungo di ceneri che si dispersero nell’atmosfera e poi ricaddero sul territorio circostante, compresa la città di Catania .
Intanto il fiume incandescente, facilitato nel suo corso dalla pendenza del terreno, distruggeva fertilissimi vigneti ed uliveti e ricopriva l’abitato dell’attuale cittadina di Misterbianco (allora chiamata Campanarazzu) . Con il primo di Aprile il fronte lavico comparve minaccioso dinanzi alla città di Catania, seminando il terrore nella popolazione che intraprese, con qualsiasi mezzo, una precipitosa fuga verso le campagne di Acireale . Pensate che la città si spopolò quasi del tutto; infatti su 20.000 abitanti (quanti allora ne contava) ben 17.000 scapparono via!
Per tutto il mese di Aprile continuò l’assedio della lava su Catania. Durante la notte del 23 il flusso lavico raggiunse il mare ed in esso si inoltrò, strabiliando i catanesi con lo spettacolo offerto dal fragoroso incontro-scontro tra il fuoco e l’acqua.
Il 25 dello stesso mese la colata lavica incominciò ad accostarsi alle mura della città tra il cosiddetto "Bastione del Tindaro" e l’imponente maniero medioevale chiamato "Castello Ursino" .
Le mura resistettero per cinque giorni, sino a quando la lava non le oltrepassò, penetrando in città e distruggendo diverse case del quartiere dell’attuale Corso. I catanesi non trovarono altra salvezza che implorare la protezione di S. Agata . Ma gli eventi sembravano precipitare; ci fu allora chi si mise a cercare soluzioni più concrete per ostacolare l’avanzata della lava.
Tale Diego Pappalardo, ingegnoso sacerdote di Pedara, radunò un centinaio di uomini coraggiosi, e si recò nei pressi delle bocche effusive dove si era formato un canale di lava lungo circa un Km .
Qui, gli arditi compagni di Don Diego, si armarono di lunghe aste di ferro e di pesanti martelli, si coprirono di pelli inzuppate di acqua per attenuare il calore insopportabile, e si diedero a rompere la parete del canale in modo tale che la lava incandescente deviasse dalla direzione naturale. Purtroppo dopo un giorno tale flusso si arrestò, ma l’intraprendente don Diego escogitò un altro sistema per bloccare il fiume di fuoco; tentò di far cadere all’interno del canale una grande quantità di grosse pietre per occludere il canale in modo da far traboccare la lava. Il tentativo sarebbe riuscito se non fosse accaduto un fatto nuovo.
La deviazione della lava indirizzava il flusso verso la città di Paternò; allora avvenne che più di cinquecento abitanti di questa cittadina si mossero armati verso i catanesi e li fecero desistere dall’intento. Resta il fatto che l’eruzione del 1669 va ricordata come il primo tentativo di deviazione di una colata lavica ad opera dell’uomo . In giugno un’altra colata lavica irruppe in città investendo da ovest il Castello Ursino, colmandone il fossato e raggiungendo il suo primo piano. Il poderoso edificio resistette all’impeto del fiume infuocato; le lave allora lo superarono circondandolo e si riversarono, ancora una volta, in mare formando una sorta di molo naturale. Finalmente l’ 11 luglio l’eruzione ebbe termine e solo allora la popolazione tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
I danni arrecati dalla colata, lunga oltre 16 Km e ricoprente una superficie di circa 36 Km quadrati, furono ingenti; vennero distrutte le case di circa 27.000 abitanti; rimasero sepolti sotto parecchi metri di lava i paesi di Malpasso (rifondata poi col nome di Belpasso) , Camporotondo , Mompilieri, La Potielli (non più ricostruita) , S. Pietro , Misterbianco , L’ Annunziata (l’attuale Massa Annunziata) e San Giovanni Galermo ; inoltre furono coperti dalla lava numerosi casolari e tanti terreni fertilissimi . Anche oggi , se ci trovassimo di fronte ad una così grandiosa eruzione saremmo probabilmente costretti a fuggire , così come fecero i nostri predecessori appena 350 anni addietro e quindi dobbiamo solo augurarci che la storia non si ripeta , essendo l’ Etna uno dei vulcani più attivi al mondo . -