FRANCESCHINA SCANNAPECORE

Barbaro Conti

 

Quando nacque, suonarono a distesa, da sole, tutte le campane di Ragalna, di Belpasso, di Mompilieri,

di Paternò, di Randazzo, nella notte profonda, sconvolta, allucinante . E i sacrestani mezzi nudi

scapparono alle loro chiese, tirando giù le vecchie funi dai campanari che tuonavano dall'Etna al

Simeto senza sosta, senza respiro. Dagli androni, dai porticati, dai cortili con le pergole cariche la

gente insonnolita e allampanata , le vecchie in sottana, gli asini e i muli liberi nei quartieri, tutti uscivano

e scappavano dalle porte e dalle finestre, gridando: - Terremoto! Terremoto! - Le campane della

Chiesa Matrice Collegiata di Santa Maria dell'Alto sobbalzavano sulla collina di Paternò e dai monti di

Centùripe rimbalzavano gli echi che si perdevano al di là di Pietralunga sopra la Piana e il biviere di

Lentini.

Don Cola lo zoppo scendeva a quattro a quattro i gradini della scalinata della Chiesa Madre come un

ossesso indemoniato gridando:

- U tettu è cascatu, i mura canniati e sciaccati. U canonicu murìu! Tirrimotu!"

In quella notte d'inferno nacque una bambina paffuta e bella come la luna piena e silenziosa sopra

Poggiorosso.

Da una dinastia di allevatori-macellai venne alla luce Franceschina in una notte di terremoto in cui

piovevano tegole, cornicioni, fiancate di case, ringhiere, croci di campanili, guglie.

Con gli anni crebbe scattante come una puledra, incrollabile e nerboruta come una rupe partorita dal

cratere della Montagna . E all'alba scattava giù dalla sua lettiera di paglia e di fieno e sembrava avesse

ancora il terremoto nel corpo e i galli cantavano sull'aia. Franceschina era cresciuta al sole e al vento,

nell'ovile e all'aperto nei vigneti di contrada Mollacchina e di Vallone Rosso. Con il padre e con il

nonno pascolava le pecore e le capre, tirava la coda nera ai cagnolini più piccoli, lanciava pietre sulle

coma delle mucche,  si arrampicava sugli olivi e sui carrubi, attratta dai nidi degli uccelli. Spesso con un

legnetto bucava le piccole uova, assaggiandole e succhiandole con la gioia trionfante della conquista.

Inerpicandosi sulle rupi di contrada Pitraru presso l'Acqua Rossa (Belpasso) o costeggiando le

mulattiere dietro il gregge tra i cani, se scopriva un  nido di uccelli, subito si accosciava tra i cespugli o

tra le macchie dei capperi , gridando: - Passeri! - oppure: - Quaglie! Infatti ella distingueva i nidi e le

uova dei passeri, delle quaglie, delle allodole...

Sin da piccola aveva visto nascere agnellini, capretti, giumentine , vitelli. E provava una materna

tenerezza.

Ma il fatto più impressionante, che determinò una svolta a destra nella sua vita, fu l'aver visto a 7 anni il

nonno paterno, Franceschino III, scannare nella stalla due dozzine di candidi agnelli, Appesi agli alberi

in fiore, il sangue degli agnellini gocciolava sulle margherite che profumavano l'aia nel limpido e

luminoso mattino di Pasqua. Franceschina sfiorava e accarezzava quelle testoline pendenti, dalle cui

bocche gocciolava il sangue ancora lucente e vivo. E toccava con le dita i rivoli di sangue gocciolato

sui fiori e sulle lattughe verdissime cresciute accanto al pozzo. Con le dita insanguinate scriveva aste e

vocali sulle ciappe e sui tronchi degli alberi vicini. Dipingeva cuoricini, spade, il sole che sorge dai

monti... Poi all'improvviso afferrò il coltellaccio del nonno, recatosi nella mannira , e cominciò a

scortecciare una quercia e a sbudellare un agnellino. Subito, ritornato per caricare la merce, nonno

Franceschino  esclamò dalla rasula: - Sangue della Madonna, dammi quel coltellaccio! Vuoi tagliarti? -

e, lasciate le cavalcature, corse come uno sparviero ferito a strappare l'arma alla nipotina.

Franceschina consegnò dolcemente il coltello ma non pianse. Poi montarono su due cavalli bai e

vennero a  vendere gli agnelli nelle chianche, il formaggio pecorino e la ricotta nei pizzicagnoli. Alle 11

erano già sulla Collina  davanti alla Matrice, per vedere Gesù Risorto.

- Anche Gesù mangerà i nostri agnelli, oggi? - esclamò Franceschina guardando i canonici con i calici

d'oro e i paramenti lucenti.

- No - rispose il nonno.- Egli è l'Agnello Vivente! -

- E lo ammazzeranno? - replicò Franceschina.

Intanto dalla porta grande della Chiesa Madre don Vincenzo Piana sventolava il grande labaro rosso,

simbolo della Resurrezione. Sulla Collina Cristo era risorto, tutte le campane suonarono a festa in un

coro immenso di gioia e di Alleluia. Migliaia di cristiani piccoli e grandi in ginocchio con le lacrime agli

occhi luccicanti di felicità.

E si abbracciavano e si baciavano, scambiandosi il perdono e la pace. Sotto gli olivi di Cala- Cala

nitrivano i cavalli.

Franceschina riconobbe la loro voce e pensò: - Anche le bestie s'inginocchiano e fanno la pace per

Pasqua?

- Prima di sera ritornarono alle loro vigne tra Mollacchina e i boschi sottani . Lungo la strada dopo il

Convento benedettino di San Vito nonno promise che per un po' di tempo non avrebbe più ucciso né

agnelli né capretti né maialini né vitelli né tacchini...

- E che mangeremo per Carnevale e per Natale, soltanto pere e ricotta? - gridò Franceschina sul suo

cavallo baio dal mantello di velluto,

- A Natale e a Capodanno penserà il Signore - ribatté il nonno..

Tra i pistacchi e i fichidindia della Strada Vecchia giunsero ai loro vigneti tra le pietraie, quando il sole

tramontava come una padella incandescente dietro la cresta rossastra dei Monti Erei.

Dalle torrette di pietre i cani abbaiavano in festa. Le capre e le pecore belavano

sotto i noci e i castagni: Francecschina ne conosceva i belati, le chiamava per nome.

Quando il nonno cominciò a farsi vecchio e la mano gli tremava e il padre, Franceshino IV, morì in

guerra,  la ragazza vide e capì che gli agnelli e i capretti soffrivano a morire. Quindi pensò che

occorreva essere più decisi,  puntare la mano ferma, centrare il colpo, uno solo, ma giusto e dritto.

Franceschina nacque col terremoto in casa, col suono di cento campane sulle sciare, con il fuoco di

Mongibello nelle vene, con il sangue degli agnelli negli occhi.

Perciò continuò lei il mestiere del nonno e divenne così esperta in quest'arte, così sicura che i vicini e i

lontani, specie nelle grandi feste, le portavano agnelli, pecore, capre, vitellini, perché lei li scannasse sul

mattatoio di lava nera, non facendoli molto soffrire. Più spesso, invece, venivano a chiamarla alla

Robba nel suo vasto vigneto nel feudo di Ragalna sui fianchi ribollenti dell'Etna. Ed ella accorreva con

uno o due coltellacci appuntiti, da lei stessa affilati nella mola accanto al palmento, chiusi in un fodero

di lana nera per il suo lavoro quotidiano a piedi o sulla sua bianca giumenta che nitriva tra le ferule e le

ginestre in fiore. Alla fine del sacrifizio, con le bacinelle a terra per farvi colare il sangue, ognuno le

offriva una fetta di pane di Casa e un bicchiere di vino rosso.

- Viva il Corpo e il Sangue di Cristo! - gridavano e tracannavano accanto alla cisterna tra i vialetti

di bbaciricana, di menta e di prezzemolo.

- Alla salute di Franceschina! -

- E dei Ragalnesi. E di tutti gli amici nostri! - ella aggiungeva.

Alcuni le donavano il cuore e le corna degli animali sacrificati. Franceschina accettava soltanto qualche

lembo  di cuore e di fegato , a1 giorno e pochi ossi per i suoi cani. Se le regalavano le corna appuntite

dei buoi, delle capre,  dei montoni, le accettava volentieri senza pregiudizi e senza scrupoli.

- Le corna portano fortuna ed io le pianto contro il malocchio e la mala gente. Per questo mio nonno

piantava le agavi e le sipale di fichidindia ai confini delle sue chiuse e dei suoi giardini. E mia nonna

teneva la zzammara (agave) al balcone e le corna del toro sulla cima del tetto - ripeteva Franceschina.

Così dopo più di 80 anni di servizio nella sua o nelle altrui masserie la Scannavacche recinse con una

fitta e lunga siepe di corna bovine e caprine i suoi aprichi e vasti vigneti, dove cantavano e nidificavano

tutti gli uccelli del cielo. E nessuno osava oltrepassare quel sacro recinto de limitato da quei bovini e

singolari trofei, dove fiorivano gli alberi sacri  di Franceschina e il vino veniva rosso come il sangue dei

tori scannati a Natale.

Nel 1943 i Tedeschi in ritirata, ignari della nostra Storia, con i carri armati sfondarono in due punti la

sacra staccionata che cingeva l'antico caseggiato alto sulle rocche come un santuario, profanarono il

palmento, abbatterono e  incendiarono 7 olivi: per questo perdettero la guerra.

Il 28 dicembre 1908 nella notte del terremoto e dell'Apocalisse, quando Franceschìna morì stravecchia

e  rugosa come una quercia spezzata e sradicata dal vento e dalla tempesta (e fu una perdita per quella

zona) le accostarono al petto i suoi due coltellacci affilati e lucenti, chiusi per sempre in una guaina di

pelle di agnellino  bianco da lei immolato in una Pasqua lontana. E un Crocifisso bianco sulle mani in

croce.

Crollarono case e chiese. Si udirono mille campane suonare nella notte fonda, immensa, senza luna né

vento né pace. Il terremoto scosse e bacchiò tutti gli alberi della Sicilia e della Calabria ,ma fu un

raccolto di rami spezzati, di dolorose rovine e di lutti.

Per quasi due secoli la masseria dei Franceschino tra le lave e le vigne dorate fu meta di pellegrinaggi

di uomini, donne, bestie.

Ed el1a esercitava il suo lavoro, la sua professione, la sua arte con gioia, con fede e con amore.

E santificava le grandi Feste scannando, perché in Sicilia non c'è festa senza sangue di agnelli, capretti,

tacchini, maiali…E se vuoi tutti attorno i parenti e gli amici, scanna prima il vitello più grasso. In Sicilia

da millenni le più grandi e carnali attrattive sono il sangue, la lava, i terremoti.

Un antico proverbio siciliano ricorda: cu si marita sta cuntentu 'n gnornu, cu ammazza 'n porcu sta

cuntentu  'n annu. Chi si marita sta contento un giorno, chi ammazza un porco sta contento un anno.

Franceschina lavorava di più nelle grandi feste: Santa Barbara, Natale, Capodanno, Epifania,

Carnevale, Pasqua, Maria Santissima della Consolazione, assunta, Natività di Maria vergine;

compleanni, onomastici, matrimoni, battesimi, cresime, funerali…, fausti ritorni di emigrati. Licenze o

congedi di figli e mariti dal servizio militare, fidanzamenti…

In tali occasioni Franceschina scannava più di trenta animali al giorno per i suoi antichi e nuovi clienti,

per gli amici e per i parenti. Ed era più richiesta, più nota e rispettata lei che tutte e tre le mamme -

ostetriche del paese. Al mattino, al pomeriggio, col vento, col sole, con la pioggia, con la neve.

Franceschina era al lavoro,al servizio della nostra gente, dei nostri paesi e delle nostre contrade. E

ogni volta che si accingeva a quel rito sacrificale, come una sicula Vestale, come un guerriero con la

spada in pugno, si faceva il segno della Santa Croce.

Perché un giorno a 7 anni nella Chiesa Matrice accanto al nonno del Prevosto - Parroco aveva udito: -

Tutto quello che dite o fate, tutto sia fatto nel nome di Gesù Signore, rendendo grazie a Dio Padre per

mezzo di lui- (S.Paolo, Colossesi 3, 17).

Franceschina nacque, visse e morì col terremoto e la lava nell'anima, ma si addormentava ogni notte

con un segno di croce e una preghiera: In primavera e in estate dormiva in un capanno all'aperto su un

giaciglio di fieno tra le rupi tappezzate di edera e gli olivi piantati tra le querce da Franceschino I.

Rispondeva sempre più piano ai belati  delle sue caprette Accarezzava con crescente dolcezza gli

agnellini più teneri. E si addormentava al canto delle cicale, guardando e contando tra le foglie e gli

olivi, ad una ad una, le stelle.

                                                                                                   (Racconto inedito - 28/8/1986)